Umidità di infiltrazione e permeazione

Categoria: Approfondimenti, esempi applicativi e opportunità
Data: 02/02/2015

Appunti in ordine all'umidità di infiltrazione

Umidità di infiltrazione - permeazione

1.0 - premessa

L’umidità di infiltrazione è da ricondurre all’acqua delle precipitazioni (pioggia, neve) che pe-netra nelle murature per infiltrazione diretta, attraverso le macroporosità le porosità, le fessure, le  carpenterie, ecc. Può inoltre verificarsi per infiltrazione dell’acqua piovana risorgente (rimbalzante) in terreni rigidi, così come può formarsi attraverso impedimenti del corretto scambio igrometrico delle murature.


In altri termini, l’umidità di infiltrazione è quasi sempre ascrivibile alla pioggia, non adeguatamente governata dalle coperture e/o controllata da efficienti sistemi di smaltimento delle ac-que meteoriche, che penetra, in diversa misura e con varie modalità, nelle murature, specie in corrispondenza di fessurazioni e di connessioni strutturali.

 
Le discontinuità, così come le incorrettezze intrinseche di qualsiasi natura ed origine: porosi-tà, permeabilità, ritiro plastico, invecchiamento, deformazioni, ecc., costituiscono le via d’accesso preferenziali per l’umidità di infiltrazione e permeazione. 

 

2.0 - porosità e porometria

Con il termine porometria si definisce la ripartizione dei pori aperti di un materiale in funzione della loro dimensione; più i pori sono fini, più il materiale ha la capacità di assorbire acqua. La porosità varia a seconda dei materiali: per i marmi e i graniti, ad esempio, è vicina allo 0% e può raggiungere il 40% per i calcari teneri. In presenza d’acqua le principali cause di degrado dei materiali porosi sono il gelo e la cristallizzazione dei sali.

2.1 – porosità, permeazione ed imbibizione

La porosità è convenzionalmente distinta in porosità aperta, porosità chiusa e porosità inter-connessa. I pori chiusi non comunicano tra loro, non permettono la circolazione dell’acqua e quindi non sono coinvolti nel fenomeno dell’assorbimento capillare. I materiali a porosità chiusa sono quindi normalmente impermeabili. Nel caso della porosità aperta i pori comunica-no tra loro attraverso i capillari che favoriscono la circolazione dell’acqua, inoltre quanto mag-giore sarà la porosità aperta di un materiale tanto più sarà grande la sua capacità di assorbimento dell’acqua.


Tra i numerosi parametri che governano il comportamento chimico-fisico e meccanico delle murature, anche sotto il profilo della possibile motilità dell’acqua di infiltrazione, la porosità, orientativamente desumibile dal coefficiente di imbibizione per immersione, rappresenta un parametro fondamentale.


La malta, i laterizi ed altri tipi di pietre (p.es. tufi, calcarei teneri) sono materiali a porosità aperta cioè i loro pori sono comunicanti per mezzo di canali capillari; questi formano una rete di “canalicoli” molto fini che favoriscono la penetrazione dell’acqua. Il fenomeno è esaltato dalla presenza di sali e dalle basse temperature. 

A parità di porosità totale, un materiale è meno resistente (per esempio al gelo ed agli aggres-sivi atmosferici e chimici) quanto più piccole sono le dimensioni dei pori. La misura della poro-sità relativa risulta facile in quanto basta prendere un campione di materiale secco, pesarlo e immergerlo in acqua sino a saturazione. La differenza tra il peso precedente all’immersione e quello successivo rappresenta il volume dei vuoti accessibili.
Logicamente il volume dei vuoti accessibili è inferiore al numero dei vuoti totali, proprio per-ché i pori chiusi non vengono raggiunti dall’acqua. In generale tutti i materiali da costruzione sono porosi con percentuali in volume dei vacui variabile: nei laterizi può arrivare al 25-30%, mentre nelle malte si va dal 5% al 25% circa (Massari G., Massari I., 1992). E’ quindi possibile che per ogni m3 di muratura in mattoni vengono trattenuti anche 300 litri di acqua. Natural-mente in una muratura costituita da diversi materiali (laterizi, ciottoli, malte di allettamento), il livello di penetrazione dell’acqua sarà strettamente legato alle caratteristiche di ciascuno di essi.


3.0 – bagnabilità ed imbibizione

La possibilità di modificare l’attitudine di una superficie “ad essere bagnata”, rappresenta uno strumento di possibile bonifica della quantità e delle conseguenze dell’umidità di infiltrazione.
Per questo motivo l’angolo di contatto di un liquido con un solido viene utilizzato, convenzionalmente come indice di bagnabilità.

 


4.0 – una complicazione recente: l’aggressione delle piogge acide

La protezione delle superfici esterne degli edifici è diventata una necessità non soltanto per gli aspetti inerenti l’umidità ma anche per una conservazione accettabile delle murature come tali. 
Il fenomeno di acidificazione delle piogge, meglio noto con il termine “piogge acide”, dovuto alla trasformazione, in presenza di acqua, dell’anidride solforosa (SO2) in acido solforico, degli ossidi di azoto (NO2-NO3) in acido nitrico e dell’anidride carbonica (CO2) in acido carbonico, in origine connesso ai soli elementi naturali, seppure eccezionali (vulcani, incendi, ecc.) ha subito conside-revole amplificazione con il progredire dell’industrializzazione.


L’acqua delle precipitazioni meteoriche, un tempo prossima al neutro, si è quindi trasformata in  apportatrice di acidità (nel territorio nazionale, alla fine degli anni 80, sono stati riscontrati valori inferiori a pH4), in grado di determinare la dissoluzione dei calcari in genere quali il marmo, le arenarie gli intonaci ed i conglomerati, attraverso i meccanismi più avanti esemplificati.


L’ossidazione dell’anidride solforosa (SO2) determina la formazione di anidride solforica (SO3) che, per reazione con l’acqua piovana o di condensazione, presente sulle superfici, porta alla formazione di acido solforico (H2SO4) che corrode il carbonato di calcio, trasformandolo in gesso (CaSO4.2H2O). Il successivo dilavamento delle superfici, comporta ulteriori perdite di materiale attivando nuovi e più profondi processi degenerativi.

Ne conseguono fenomeni di cristallizzazione e ricristallizzazione, rigonfiamenti, variazioni ed al-ternanze volumetriche, incrementi della solubilità, della porosità, della perdita di matrice legan-te, e così via. In termini semplificati è possibile affermare che le piogge acide possono aggredire i materiali esposti alle precipitazioni meteoriche, con un duplice meccanismo, capace, purtroppo, di autoalimentarsi, attraverso:
1 - un processo chimico di corrosione caratteristico dei composti acidi in genere, e dell’acido sol-forico in particolare, con attacco degli intonaci a base di leganti idraulici, delle pietre calcaree, dei manufatti in marmo, dei conglomerati, ecc., con trasformazione del carbonato di calcio in solfato di calcio, facilmente solubile in acqua piovana, fortemente igroscopico, con tendenza a rigonfiarsi, in presenza di acqua, producendo effetti disgregativi.
2 - un processo aggressivo di tipo meccanico, con rimozione del materiale, reso precedentemen-te friabile  e solubile  e ulteriore progressione dell’attacco chimico.  L’acqua, condensando sulle pareti dei manufatti, fa da veicolo per gli agenti inquinanti solidi, liquidi e gassosi che penetrano nelle porosità.


Le patologie accennate ed altre inerenti il degrado dei manufatti calcarei, sono definite nella Raccomandazione “Normal 1/85”.

5.0 – bonifica della condizione infiltrativa

Gli interventi, più diffusamente descritti nel documento n.6: umidità, provvedimenti di risana-mento,  debbono contemplare la colmatura sigillante delle fessure, delle fughe e delle disconti-nuità in genere, nonché il conseguimento di una elevata efficacia idrorepellente, waterproofing ed autolavante, delle superfici, attraverso prodotti non pellicolari, in grado di conservare immutate le caratteristiche originarie, in termini di capacità traspirante, aspetto e tessitura. Gli inter-venti accennati sono da realizzare congiuntamente, o meno, in funzione delle esigenze effettive, da valutare caso per caso.

Edoardo Mocco

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