Categoria: Approfondimenti, esempi applicativi e opportunità
Data: 27/07/2015
Le tecniche di pulitura di manufatti lapidei e di pregio storico, artistico
Nella normale accezione la pulitura è l’asportazione di sostanze estranee, presenti sulla superficie di un manufatto, che risultino nocive per la sua conservazione o ne pregiudichino, in tutto o in parte la funzione estetica e la leggibilità.
Le tecniche di pulitura tradizionali, utilizzate per esempio per la manutenzione delle facciate, certamente adeguate agli scopi accennati, possono rivelarsi troppo invasive, ove utilizzate su superfici di valenza artistica, storica ed ornamentale.
La pulitura delle superfici lapidee può essere ricondotta al tema più generalizzato dei trattamenti conservativi dei beni culturali. È finalizzata alla rimozione di materiale di origine naturale o artificiale, potenzialmente dannoso per il substrato, o con effetti deturpanti la valenza estetica del manufatto stesso o di sue parti.
La pulitura presenta problemi tecnici da affrontare con estrema cautela, tali da richiedere una serie di azioni che possono comportare un margine di rischio, per la superficie del manufatto, che deve essere contenuto nei limiti accertati di accettabilità: deve essere efficace e, nello stesso tempo, non dannosa per il materiale da pulire.
Il termine dannosità è definito nella Raccomandazione NORMAL 20/85 ripresa nel successivo paragrafo, come l’insieme delle variazioni negative di diversa natura o entità provocate sul manufatto sottoposto alla pulitura unitamente a effetti collaterali indesiderati che possono divenire evidenti anche a distanza di tempo: corrosione del substrato lapideo, possibile incremento della porosità o della rugosità superficiale, comparsa di macchie, rilascio di sostanze residue non compatibili con il materiale e/o interferenti con le fasi successive dell’intervento conservativo ecc.
La normativa tecnica richiamata definisce lo scopo della “pulitura” di rivestimenti lapidei dal punto di vista della conservazione: rimozione di quanto è dannoso per il materiale lapideo: sali solubili, incrostazioni scar-samente solubili e insolubili, stratificazioni di materiali vari applicati intenzionalmente e non idonei o non fun-zionanti, vegetazione infestante, deiezioni animali ecc., a questo la pulitura deve limitarsi, rispettando non solo policromie, patine naturali, ma anche lo strato più superficiale del materiale lapideo
.
la Raccomandazione 1/88: “Alterazioni macroscopiche dei materiali lapidei” proposta nel paragrafo 8.0.0, definisce le alterazioni che possono interessare le superfici lapidee delineandone le cause più frequenti. In linea di massima ed a livello preliminare, il progetto di pulitura deve identificare le alterazioni che debbono essere comunque rimosse.
In linea generale, il ricorso a tecniche e metodi specializzati consente di superare, nella maggior parte delle occasioni d’intervento, gli aspetti di invasività accennati nel paragrafo 1.1.0.
Per situazioni più complesse o più delicate può essere necessario ricorrere a tecniche e metodi di particolare specializzazione, gestite ad elevati livelli professionali.
Le tecniche di pulitura più frequenti possono essere raggruppate in cinque categorie differenziate in termini di “veicoli” dell’azione di pulitura.
Possono essere condensati nei seguenti obiettivi:
(*) = superfetazione: dal latino superfetare ("concepire di nuovo"), composto dall'avverbio super (con il valore di "oltre, in più") e dal verbo fetare ("fecondare"), nella terminologia tecnica sottintende la valenza figurata di “aggiunta superflua”.
Le note che seguono sono basate sul citato riferimento alla suddivisione basata sui “veicoli” dell’azione pu-lente nelle differenti modalità di intervento.
Sono volti ad utilizzare le peculiari capacità solventi ed emollienti dell’acqua che, com’è noto è considerata un “solvente universale”. Poiché l’uso indiscriminato di getti d’acqua può comportare rischi tali da peggiorare la situazione creando danni maggiori dei benefici ottenibili, la tecnica relativamente semplice, rappresentata dall’idrolavaggio convenzionale, è sconsigliabile in presenza di superfici di valenza artistica o storica, mentre sono da considerar-si accettabili i metodi maggiormente controllabili, in termini quantitativi e qualitativi.
L’attrezzatura è generalmente costituita da speciali ugelli nebulizzatori, montati in batteria, che proiettano l’acqua, ridotta in piccolissime gocce di diametro compreso tra 80 e 120 micron, con pressioni variabili fra 2 e 4 bar. Il sistema, che consente una bagnatura delicata ed uniforme delle superfici da trattare, unisce alle azioni fisiche e chimiche proprie del solvente acqua, un moderato effetto meccanico determinato dalle goccio-line d’acqua proiettate e dal successivo ruscellamento delle stesse sulla superficie del manufatto.
L’attrezzatura è generalmente costituita da speciali camere di “atomizzazione” che proiettano l’acqua, ridotta in piccolissime gocce di diametro nettamente inferiore a 80 micron, sulle superfici da trattare. . L’atomizzazione dell’acqua determina un effetto bagnante superiore a quello della nebulizzazione, pur con l’impiego di minore quantità d’acqua ed in assenza di qualsiasi azione meccanica. Le goccioline d’acqua svolgono infatti un’azione chimico-fisica molto delicata, coniugata con un’elevata capacità di solubilizzazione dei depositi aderenti alle superfici lapidee. La complessità dell’attrezzatura di atomizzazione limita l’impiego del sistema descritto a manufatti di ridotta dimensione tipo cornici, bassorilievi, ecc.
La pulitura avviene mediante l’azione, a secco o a umido, di polveri grossolane, di sabbia silicea o di altri a-brasivi, proiettate ad alta pressione da apposite apparecchiature. Sono normalmente impiegati nell’edilizia ordinaria e praticamente da escludere in presenza di elementi lapidei così come di manufatti di valenza arti-stica e storica. Si osserva che anche nell’edilizia ordinaria, i sistemi non controllabili, ove impiegati su elementi significativamente deteriorati, possono comportare elevati danneggiamenti.
Si differenziano dal sistema precedente per la granulometria degli abrasivi e per il ricorso ad attrezzature di proiezione (a secco o ad umido), dotate di una migliore possibilità di regolazione. L’impatto dell’azione di pulitura è comunque elevato e tale da sconsigliarne l’impiego sia su elementi lapidei che su manufatti di valenza artistica e storica.
Impiegano apparecchiature ad aria compressa piuttosto sofisticate ed abrasivi particolari, di differente natura, ivi comprese polvere di allumina, silice, microsfere di vetro, polveri vegetali, ecc., di dimensioni inferiori ai 40 micron, con granuli di forma il più possibile sferica.
in taluni casi gli abrasivi, dispersi in ridottissime quantità d’acqua (50/60 litri/ora), sono proiettati con partico-lari ugelli in grado di proiettare le particelle abrasive con moto circolare ed incidenza diagonale, consentendo pulizie meno impattanti. Pur comportando tempi di esecuzione (e costi) piuttosto elevati, i “sistemi controllati” consentono di intervenire anche su superfici degradate senza rischi concreti di danneggiamento.
I sistemi di pulitura basati sull’impiego di prodotti chimici sono quelli che utilizzano soluzioni acquose di acidi, di basi, di sostanze detergenti o di formulati specifici, nonché di sostanze biocìde che consentono di eliminare la presenza di infestanti erbacei e di sterilizzare muschi e licheni.
Gli acidi impropriamente definiti “tamponati”, in quanto non particolarmente aggressivi, come l’acido solfam-mico, l’acido citrico e l’acido fosforico, possono essere utilizzati, con le indispensabili cautele, nella “pulitura” di elementi lapidei e di manufatti di valenza artistica e storica, per le proprietà decalca rizzanti e disincrostan-ti che li caratterizzano. Le modalità d’uso debbono però prevederne la sicura rimozione, a trattamento avve-nuto. Nell’edilizia convenzionale vengono comunemente impiegate soluzioni di acido fluoridrico, di acido clo-ridrico oppure di acido acetico, scelte e applicate in base alle incrostazioni da eliminare. In presenza di ma-nufatti di pregio i sistemi accennati sono sconsigliabili stante l’elevato grado di aggressività. In ogni caso, ed a maggior ragione, a trattamento avvenuto, questi prodotti devono essere completamente rimossi perché permanendo, danneggerebbero, nel tempo, il materiale lapideo. A titolo di esempio, le soluzioni di acido clo-ridrico commerciale (noto anche come acido muriatico) frequentemente utilizzate, sono indubbiamente pro-dotti di costo limitato di rapida applicazione, purtroppo “carichi” di residui ferrosi. In breve tempo il lapideo “pulito” con tale acido si annerirà a causa dell’ossidazione dei residui ferrosi.
In ordine ai prodotti di pulitura acidi il programma di fornitura AZICHEM contempla:
DETERG – A: Detergente, disincrostante a pH acido ad elevata biodegradabilità, basato su soluzioni ac-quose di acidi deboli tamponati e tensioattivi anionici e non ionici.
Le soluzioni alcaline in genere, come quelle “controllate” di tipo ammoniacale, con pH superiore ad 8, specie se in equilibrata coazione con tensioattivi specifici, sono certamente in grado di rimuovere le impurità “grasse” presenti nelle incrostazioni . Anche per questi preparati vale la regola della “necessaria rimozione” a trattamento avvenuto. Con detergenti alcalini la “rimozione” è in realtà una “neutralizzazione con soluzioni acide. In presenza di manufatti di pregio i sistemi accennati sono del tutto sconsigliabili stante l’elevato grado di aggressività e la complessità delle procedure neutralizzanti.
In ordine ai prodotti di pulitura basici il programma di fornitura AZICHEM contempla:
DETERG – B: Detergente, disincrostante a pH alcalino, ad elevata biodegradabilità, a base di sali alcalini, sequestranti organici ed inorganici, tensioattivi specifici.
La scelta del biocida da utilizzare deve essere fatta in funzione del compito specifico che i prodotti biocidi dovranno assolvere, in accertata assenza di effetti aggressivi per il manufatto. Le caratteristiche rilevanti debbono essere rappresentate dalla trasparenza post applicazione, da principi attivi a ridotta solubilità in ac-qua, dalla degradabilità nel tempo, dall’assenza di azioni fisiche e chimiche nei confronti delle superfici del manufatto, ecc.
In ordine ai prodotti di pulitura acidi il programma di fornitura AZICHEM contempla:
CONSILEX ANTIMUFFA REMOVER: Soluzione a base di sali di ammonio quaternario e di peculiari prin-cipi attivi per l'eliminazione degli insediamenti biodeteriogeni: muffe, funghi, muschi, alghe, licheni, batteri ecc. dalle opere murarie, nel pieno rispetto dei protocolli di restauro ecologici, e delle indicazioni normative inerenti il restauro di edifici d'epoca e monumentali.
I sistemi ad “impacchi” sono il risultato della ricerca e del perfezionamento di sistemi di pulitura il più possibile esenti da aggressività chimiche e meccaniche.
Si tratta di soluzioni basate sull’azione, prolungata nel tempo, di sostanze chimiche “deboli”, mescolate ad agenti tixotropanti ed addensanti che ne facilitano la stesura rallentando l’evaporazione dei “principi attivi”. È altresì importante richiamare alcune delle peculiarità più significative che contraddistinguono i sistemi ad impacchi:
Nella pratica esecutiva gli “impacchi” possono essere suddivisi nelle seguenti categorie funzionali:
Composti da materiali inerti, quali argille, costituite da silicati idrati di magnesio, o altri assorbenti quali la polpa di carta, l’attapulgite, la sepiolite, ecc., in grado di assorbire acqua, sino a quasi il doppio in peso, senza subire aumenti di volume, e da prodotti attivi, scelti a seconda delle sostanze allontanare, tra i quali si segnalano il bicarbonato di ammonio, il sale tetrasodico dell’acido etilendiamminotetracetico (EDTA), inadatto però per lapidei carbonatici, ed altri.
Un impacco attivo di particolare rilievo è la composizione messa a punto dall’Istituto Centrale per il Restauro, nota come AB57, costituita da una equilibrata ed equilibrabile miscela di sali complessanti ed agenti addensanti e tixotropizzanti coadiuvati da assorbenti ad elevata efficacia. L’azione di AB57 è molto lenta e varia a seconda del tipo di sostanze da eliminare. Per rallentarne l’essiccazione si procede talvolta a ricoprire l’impacco con fogli di polietilene. Quando l’azione di pulitura è completata, il prodotto viene eliminato mediante spazzolatura e lavaggio con acqua deionizzata.
Vengono effettuati con paste costituite di materiali inerti ad alto assorbimento d’acqua, come le argille, la polpa di carta, ecc., mantenute a contatto con le superfici da pulire per alcuni giorni. Anche questi impacchi debbono essere adeguatamente protette dall’evaporazione. Particolarmente efficaci nel caso di croste nere di ridotto spessore, gli impacchi assorbenti richiedono però lunghi tempi di esecuzione.
Simili ai precedenti gli impacchi ad azione biologica vengono addizionati anche con agenti specifici quali soluzioni acquose di urea e glicerina. Sono decisamente efficaci per rimuovere croste nere, anche di elevato spessore. I tempi di persistenza in opera sono piuttosto lunghi, talvolta in termini di mesi.
L’azione di pulitura di questi impacchi deriva dalle particolari proprietà delle resine a scambio ionico, costituite da polimeri di sintesi con gruppi funzionali acidi o basici, che operano un trasferimento di ioni dalla resina alle sostanze che devono essere asportate.
Si tratta di una tecnica di introduzione relativamente recente basata sull’impiego del laser (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation). Nella fattispecie del laser Nd/YAG (*), il tipo più impiegato, opera la disincrostazione ed il distacco delle sostanze imbrattanti attraverso l’emissione di un fascio di luce laser in-frarossa di intensità regolabile, in grado di non pregiudicare, in alcun modo, gli strato sottostanti. Con la pulitura Laser è possibile salvaguardare i materiali originari, agendo anche su superfici e supporti in precarie condizioni di conservazione, senza la necessità di pericolosi preconsolidamenti che pregiudicherebbero l’efficacia della successiva pulitura.
Poiché le emissioni laser sono radiazioni elettromagnetiche, anche la pulitura in questione comporta opportune precauzioni per la sicurezza, come la schermatura delle zone di lavoro e l’impiego di occhiali di protezione da parte degli operatori.
(*) = Il Laser a Nd:YAG è un laser a stato solido che sfrutta come mezzo attivo (sorgente di emissione) un cristallo di ittrio e alluminio (YAG) drogato con atomi di Neodimio (Nd). Da qui ne discende il nome Nd/YAG. Tale sorgente emette tipicamente una radiazione luminosa monocromatica, caratterizzata da una lunghezza d’onda di 1064 nm (luce nell’infrarosso) molto ben definita.
La pulitura meccanica di superfici lapidee, comprende una gamma piuttosto vasta strumenti specifici il cui impiego è in stretta relazione al tipo ed al grado di persistenza delle sostanze patogene che si dovranno asportare. Il risultato delle operazioni di pulitura meccanica è strettamente condizionato alla perizia ed alla competenza dell’operatore che dovrà evitare danni irreversibili al materiale, quali incisioni, graffiature, segni, ecc.
Fra i numerosi strumenti alcuni accompagnano ed integrano i differenti sistemi per la pulitura meccanica accennati ed è opportuno precisare che la spazzolatura con spazzole di saggina dovrebbe essere sempre presente come completamento mentre la spazzolatura con spazzole di ferro è sempre da escludersi per i danni che può arrecare.
A solo titolo di elencazione si richiamano bisturi, piccole spatole metalliche, apparecchiature meccanizzate più complesse di derivazione dentistica che, alimentate da un motore elettrico o pneumatico, consentono la rotazione di differenti utensili quali microspazzolini in fibre vegetali, microfrese (atte all’asportazione di incro-stazioni dure, di limitata dimensione), micromole in gomma abrasiva, in grado di agire senza lasciare tracce evidenti di abrasione, microscalpelli, vibroincisori, ecc.
Nel grafico i termini di costo sono proposti semplicemente come valore ponderale di confronto indicativo, tenuto conto delle quotazioni correnti, per interventi di dimensioni e complessità medie.
Norme tecniche riguardanti gli edifici di interesse storico ed artistico, pubblicate dall’Istituto Centrale per il Restauro e dall’Ente Nazionale di Unificazione (UNI), con lo scopo di stabilire metodi unificati per lo studio delle alterazioni dei materiali lapidei naturali e artificiali e per il controllo dell’efficacia dei trattamenti conservativi dei manufatti.
Al fine di richiamare le alterazioni più comunemente interessate dalle tecniche di “Pulitura delle superfici la-pidee” si riportano le definizioni desunte dalla Raccomandazione 1/88, richiamata in 1.2.3.
“Alterazione strettamente limitata a quelle modificazioni naturali della superficie dei materiali non collegabili a manifesti fenomeni di degradazione, percepibile come una variazione del colore originario del materiale”.
“Strato superficiale di alterazione di spessore variabile, consistenza dura e fragile, distinguibile dalle parti sottostanti per le caratteristiche morfologiche e, spesso, per il colore. Può distaccarsi anche spontaneamente dal substrato, che, in genere, si presenta disgregato e polverulento”. È generalmente riconducibile all’azione di microrganismi e di inquinanti, a fenomeni ossidativi, alle carenze di circolazione d’aria, ai residui di combustione di oli derivati dal petrolio.
"Depositi più o meno coerenti ed aderenti al supporto, con tendenza a concentrarsi nelle zone più riparate dalla pioggia battente e dal dilavamento". Hanno spessore e forma variabili, dalle semplici stratificazioni di polveri alle incrostazioni omogenee, talvolta di spessore centimetrico, fortemente ancorate al substrato. Le “croste nere” non debbono assolutamente essere confuse con le patine naturali, spesso contribuenti alla “protezione” del manufatto, poiché sono estremamente dannose per l’integrità del materiale lapideo: con il tempo infatti, le “croste nere” tendono ad indurire, ad aumentare di volume, divenendo meno porose. Ne conseguono importanti tensioni meccaniche superficiali, configgenti con la stabilità delle superfici lapidee, che provocano fratture, fessurazioni e cadute delle croste stesse, accompagnate da porzioni, più o meno consistenti, della superficie sottostante.
“Strato superficiale di sostanze coerenti fra loro ed estranee al materiale lapideo, di spessore molto ridotto, può staccarsi dal substrato che in genere si presenta integro”. Spesso determinato da trattamenti protettivi soggetti a degrado per ossidazione, contrazione, ecc.
“Locuzione attinente la presenza di licheni, muschi e piante”. Determinata, in genere, da accumuli di umidità, organismi autotrofi (batteri unicellulari, alghe, licheni, piante superiori, ecc.).
“Deposito stratiforme, compatto, generalmente aderente al substrato, composto da sostanze inorganiche o da strutture di natura biologica”. Determinata, in genere, dall’insediamento di organismi biodeteriogeni quali muffe, alghe, licheni, ecc.
“Sollevamento superficiale e localizzato del materiale che assume forma e consistenza variabili”. Determinato, in genere, da dilatazioni differenziali fra materiali costituenti il substrato e le finiture o dalla formazione di ghiaccio negli strati superficiali.
“Formazione di sostanze, generalmente di colore biancastro e di aspetto cristallino, pulverulento o filamentoso, sulla superficie del manufatto”. È conseguente alla pressione di cristallizzazione dei sali.
“Deposito compatto, generalmente formato da elementi di estensione limitata, sviluppato preferenzialmente in una sola direzione non coincidente con la superficie lapidea. Talora può assumere forma stalattitica o stalagmitica”. È conseguente al verificarsi di infiltrazioni d’acqua, alla presenza di umidità protratta nel tempo, alla presenza di croste nere.
“Accumulo di materiali estranei di varia natura, quali polvere, terriccio, guano, ecc. Presenta spessori variabili e, generalmente, scarsa aderenza al materiale sottostante”. È conseguente all’esposizione, alla scabrosità ed a deformazioni della superficie, all’inquinamento atmosferico e, talvolta, all’impiego di prodotti vernicianti.
La pulitura delle superfici lapidee, così come delle opere e dei manufatti di pregio artistico e storico è un problema complesso che non può essere affrontato in termini generali, né risolto con soluzioni e risposte univoche e definitive. Ciascun problema deve essere infatti valutato singolarmente, al fine di determinare la soluzione o le soluzioni, di volta in volta più adeguate. Il centro tecnico Azichem ha consolidato, nel tempo, l’esperienza necessaria per assistere gli operatori, sia attraverso collaborazioni di indirizzo preliminare che mediante lo studio e la sperimentazione di specifici preparati.
Normativa NORMAL; Istituto Centrale per il Restauro: pubblicazioni varie; Prof. Stefano Francesco Musso, Università di Genova: “Laboratorio di restauro”; Chiara Falcini e Alessandro Svinzov: “La pulitura dei mate-riali lapidei”; Guide pratiche di Progetto Colore: “Puliture con acqua”; E. Mocco: “Pulizia e protezione di rive-stimenti lapidei”; Prof. P. Faccio, arch. P. Scaramuzza, Università di Venezia: Tecnologia della conservazio-ne dei materiali lapidei, degli intonaci e delle pitture murali”: Ing. E. Zamperini: “Interventi conservativi sui materiali lapidei”.
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